Questa forma di governi era allora l'aspirazione universale, per istanchezza dei reggimenti liberi del medioevo, per amor dei dominj forti e delle concentrazioni, che diceano salverebbero l'Italia dagli stranieri, e che invece l'inabissarono. Esecrato dai vecchi repubblicani ch'e' dovette reprimere, combattere, esigliare, assassinare, Cosimo in lunghissimo regno si mostrò splendido senza abbandonar le abitudini cittadinesche della casa sua, e procurò di far fiorire le arti e il commercio, estendere fabbriche, erigere superbi palazzi, e tutti i progressi che possono camminar di paro colla servitù.
Cosimo sentì come interesse primo d'ogni nuovo principato in Italia sia l'ingraziarsi il pontefice: eppure teneva l'occhio geloso su tutti gli atti della Corte romana, siccome appare dal carteggio de' residenti, e voleva ingerirsi ai conclavi e alle altre decisioni. Per rispetto a quella, non ledeva le immunità ecclesiastiche: e nella feroce guerra di Siena, le sue truppe, comandate dal marchese di Marignano, avendo profanato qualche luogo sacro, egli scriveva a Bartolomeo Cóncini, suo commissario, il 24 ottobre del 1554:
«Con nostro molto dolore abbiamo inteso la ruberia che l'esercito del marchese di Marignano ha fatto in Casole, da cui nè anche la casa di Dio è andata esente. Noi non vogliamo queste iniquità. Quando l'esercito può dare il sacco, le chiese hanno da essere rispettate, e il primo che oserà fare insulto a chiese, monasteri, ospedali ed altri luoghi, noi vogliamo che paghi la pena di tanta sua malvagità colla perdita del capo: e il marchese vogliamo che obbedisca a questi nostri ordini.
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