«È comparsa la vostra del 7, piena di tante e sì belle novelle, che ha servito per veglia e passatempo a molti cardinali».
E all'11 luglio 61:
«Farete bene a non scriver a Roma del poco conto che si tenga della religione, massime da cotesta gioventù, perchè offizio più del nunzio che vostro: anzi, in tutto quello che scrivete là andate circospetto, acciò le lettere vostre per qualche particolare che contenessino non andassino a cognizione, con poca satisfazione di quei signori e nostra».
In fatto il Gelido teneva informato il granduca di quanto operavano a Venezia i profughi toscani e lo Strozzi, e suggeriva i mezzi di conservare in soggezione Siena, congratulandosi con Cosimo che l'avesse annessa al suo dominio, e così preparasse un regno forte, persuadendosi che a breve andare lo saluterebbe re di Toscana.
Esso Gelido abbandonò poi Venezia per andare a Ginevra, e a Paolo Geri, scultore fiorentino accasato in Venezia, scriveva d'essere stato molto ben accolto a Lione, ove il governatore vuol che intervenga nel consiglio di quella villa: «Or non più io spero che ci rivedremo in Italia, poichè l'Evangelio mette ogni dì le penne per far un volo fin costà, e bisognerà che quegli arcivescovi e quegli altri grassi et unti mutino vita, come si fa e più si farà in questo regno».
Questo all'ultimo ottobre 1562: poi al 24 marzo vegnente da Ginevra scrive «al Duca di Firenze in manu propria»:
«... Arrivai fino a Parigi, dove mi fermai, e per ordine di Madama (Renata) di Ferrara consultai co' ministri delle Chiese riformate tutto quello che doveva fare.
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