I principi ne scrissero al papa, che rispose, se sapessero a che stato trovavansi le cose di lui non l'avrebbero raccomandato, e temeva che n'andasse della vita; non poter usare connivenza, trattandosi di causa famosissima, ed essendo la quarta volta che costui era inquisito e giudicato: al tempo di Pio IV aver esso detto un monte di bugie, eppur n'era stato assolto: e che, se il principe di Toscana fosse a Roma, rimetterebbe volentieri questo giudizio alla coscienza di lui. Avesse in mano un uccisore di dieci uomini, glielo concederebbe, ma sul Carnesecchi non poter nulla, standone il giudizio in man de' signori cardinali: se si avesse riguardo a grado o nobiltà, non si sarebbero fatte tante esecuzioni anche di signori: se poi quella causa andava tanto per le lunghe, la colpa era del Carnesecchi.
E poichè il duca persisteva a raccomandarlo, i cardinali gli esibivano di far esaminare egli stesso il processo; e l'assicuravano si facea tutto il possibile per favor suo478.
Al 23 e 30 maggio il Serristori già annunzia che «la sola discussione sul Carnesecchi è se deva darsi alla corte secolare sì o no; e della vita sua si sta in timore perchè non ha cervello, e crede leggero il proprio errore: e di donna Giulia parla come fosse una santa».
In fine confesso e convinto, fu esposto sulla piazza della Minerva, dove gli venne letta la sentenza, pronunziata dai cardinali di Trani, di Pisa, Paceco e Gàmbara. La lettura durò due ore, comprendendo pratiche cominciate fin dal 1540, e fu dichiarato meritevole del fuoco, e dato alla curia secolare.
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