Tornato a Siena, difese insignemente Antonio Bellanti, accusato di malversazioni e congiura; ma gli avversarj ritorsero l'accusa contro lui stesso, che n'ebbe nuova occasione di mostrar la sua eloquenza. Da quel senato fu preso pubblico precettore di lettere greche e latine, poi di filosofia. Colą attinse le idee dell'Ochino, poi le diffuse a Colle in Val d'Elsa, dove avea tenimenti, e a San Geminiano. Fece un poema in tre canti sull'immortalitą dell'anima, in cui il sacro va misto col profano, e invocato Aristotele a guida nella pericolosa ricerca. Lo dedicņ a Ferdinando re de' Romani, e i critici lo paragonavano al Vida e al Sannazaro; il Vossio lo qualifica di divino e immortale. Ne mandņ un'edizione scorretta al cardinale Sadoleto, suo patrono, pregandolo inducesse lo stampatore Grifio a farne una migliore. Quegli in fatto il raccomandņ caldissimamente: aver quel libro un sapore lucreziano; nulla esservi che non fosse detto latinamente, e non mostrasse giudizio e diligenza: multaque pręterea ubique nitentia ingenii et vetustatis luminibus, et, quod ego pluris quam reliqua omnia facio, christiana mens, integra castaque religio, erga Deum ipsum honos, pietas, studium, in eo libro vel maxime non solum docere mentes errantium, sed etiam animos incendere ad amorem purę religionis possunt.
All'autore poi scriveva non aver letto opera a' suoi tempi che gli piacesse pił del poema di lui, e: «Come il volto pacato e costante nell'uomo č indizio di mente ben affetta e di probo animo, cosģ cotesta tua egregia pietą verso Dio, che s'appalesa ne' tuoi scritti, ci obbliga a fare insigne stima di te, d'ogni senso dell'animo tuo, e della eccellente dottrina511».
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