È venuta l'ora ch'io passi di questa vita al mio signore e padre Dio. Io vi vo tanto allegramente quanto alle nozze del figlio del gran re, del che ho sempre pregato il mio Signore che per sua bontà e liberalità infinita mi conceda. Sicchè, la mia consorte dilettissima, confortatevi della volontà di Dio e del mio contento, ed attendete alla famigliola sbigottita che resterà, di allevarla e custodirla nel timor di Dio, ed esserle madre e padre. Io era già di settant'anni, vecchio e disutile: bisogna che i figli colla virtù e col sudore si sforzino a vivere onoratamente. Il Padre e il nostro signor Gesù Cristo sia collo spirito nostro.
«Di Roma il dì iii luglio 1570.
«Tuo marito Aonio Paleario».
«Lampridio e Fedro figliuoli dilettissimi; Questi miei signori, cortesissimi insino all'ultimo, non mancano adesso della loro cortesia, e mi permettono ch'io vi scriva. Piace a Dio di chiamarmi a sè per questo mezzo che voi intenderete, che vi parerà aspro ed amaro; ma se il considerate bene, essendo di mia somma contentezza e piacere per conformarmi alla volontà di Dio, vi avrete anche voi a contentare. La virtù e diligenza vi lascio in patrimonio, e quelle poche facoltà che avete. Non vi lascio debito; molti chiedono alle volte e devono dare. Voi foste emancipati più di diciott'anni fa, non siete tenuti a miei debiti. Quando vi fossero chiesti, ricorrete a S. E. il duca, che non vi lascierà far torto. Diedi a Lampridio il conto di dare e avere. Ci sono la dote di vostra madre, e di collocar, come Dio vi darà la grazia sua, la vostra sorellina; salutate Aspasia e suor Aonilla mie care figliuole dilettissime nel Signore.
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