Vedendo pericoloso manifestar in patria credenze particolari, ne uscì, e per quattro anni viaggiò la Francia, l'Inghilterra, i Paesi Bassi, la Germania, la Polonia; da ultimo si fissò a Zurigo. Poichè i primi riformati abborrivano dalle dottrine unitarie, Lelio finalmente le ascose in modo da passare per un dei loro ed esser caro a Melancton e ad altri caporioni. Egli domandava a Calvino: «Maestro, quid d'un cristiano che si sposò a una cattolica?» E Calvino rispondea: «Non è permesso a un cristiano unirsi a donna che disertò il Cristo. Ora tutti i papisti sono in tal caso: papista e musulmano è tutt'uno»542.
Ma Calvino ne subodorava i dissensi, e gli scriveva nel 1552: «Quel che v'ho detto già altra volta or ve lo ripeto sul serio; se non correggete cotesto prurito d'indagine, temete di incontri gravissimi». L'avviso e il supplizio di Serveto insegnarono a Lelio a dissimulare, onde continuò ad esser ben voluto fra persone di sensi diversissimi. Abbiamo lettera di Pietro Paolo Vergerio, da Vicosoprano, 20 giugno 1552 al Pellicano, dove fra altro gli dice: «Il nostro Lelio meco dimorò per tre settimane, poi se n'andò a suo padre, ma so io traverso a quanti pericoli. Dio lo scampi». Bullinger, sempre conciliativo, ben l'accolse, ma Giulio da Milano scriveva a questo da Poschiavo il 4 novembre 1555: «Mi dici che Lelio, sospetto a noi, e da molti buoni fratelli tenuto apertamente per anabattista, a te fece una buona confessione, e sottoscrisse alla sana dottrina che fu sempre nella Chiesa cattolica; e mi esorti a tenerlo come purgato da ogni sospetto.
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