Incominciai a piangere in coro colle sorelle, senza lasciarmi quetare dalle carezze de’ genitori e da’ conforti del capitano, bramoso di farci credere, in una non so quale mistura d’eterogenei vocaboli, che non si correva pericolo alcuno.
Non sì tosto esciti del golfo, un’ondata impetuosissima fece piegare il legno sovra d’un fianco. I nostri bagagli, ch’erano pur molti, e trovavansi ammonticchiati gli uni sugli altri lungo la coperta, staccandosi con orrendo fracasso, rotolarono dal lato dove la pendenza li trascinava. Fu quello un momento veramente critico! Senza la celere manovra del britanno equipaggio, che ricollocò ed assicurò ad anelli di ferro casse, bauli e colli, il bastimento avrebbe perduto l’equilibrio.
Il viaggio, per buona fortuna, durò poco. La sera del secondo giorno giungemmo a Messina. Restammo per molte ore col capo vacillante, e solamente dopo esserci ristorati con prolungato sonno, ci sentimmo restituiti in salute.
La mattina seguente un altro brigantino arrivava nel porto di Messina. Incoraggiato dalla nostra partenza, avea voluto seguirci; ma, meno avventuroso di noi, avea dovuto buttare gran parte del carico nel mare, e recava inoltre una donna, morta dallo spavento e dal mal di mare.
A questa notizia, ringraziammo il Signore pel pericolo superato, ed aspettammo che il tempo si fosse ben rasserenato per valicare il Faro, e recarci in Reggio.
Tre giorni dopo, il sole spuntava nello splendore consueto del cielo siculo, ed il mare, perfettamente abbonacciato, ci riprometteva un prospero tragitto.
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