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      Carlo ripassava ogni giorno; ma pochi minuti di ritardo nelle ore che ci era dato vederci da lontano; ma la pioggia che qualche volta me lo strappava; ma l’ordine di mia madre di accompagnarla in qualche visita, erano per me occasioni di grave afflizione. Vederlo e corrispondere al suo garbato saluto, scambiare seco lui, non fosse che una sola occhiata, mi facevano mettere tutto in dimenticanza, mi ricolmavano d’ineffabile beatitudine.
      Trascorsero così molti mesi, ne’ quali la comunicazione dell’amor nostro non oltrepassò i limiti degli sguardi e del reciproco saluto. Io amava quel giovane con poesia limpida, pura, cristallina; con poesia che sentiva infusa in tutto l’essere mio, sebbene non potessi né sapessi esprimerla: egli si mostrava ognora premurosissimo di vedermi, benché non si sollecitasse punto di mandare a’ miei genitori ambasciata di matrimonio, anzi paresse propenso di nascondere loro l’innocente, ma pur reale, amorosa nostra corrispondenza.
      Quasi di rimpetto alla nostra abitazione eravi un palazzo, il cui primo piano trovavasi disabitato da lungo tempo. Una mattina udii fermarsi un carretto a quella porta. Alzai le cortine della finestra, e lo vidi carico di mobilia, che da’ facchini era portata in quell’appartamento. Vi ritornai, animata da non so quale lusinghiero presentimento, e oh, quale sorpresa! vidi Carlo al balcone di quella casa, in atto di guardare la mia. Lui stesso! pensai: lascia egli dunque la sua famiglia, per venire più vicino a me...!
      Il mio volto apparve da’ cristalli: Carlo mi scoprì, mi sorrise, mi salutò. Fuggii per timore che mia madre sopravvenisse, ma il contento manifestavasi in tutte le mie azioni, appariva nell’atmosfera stessa ch’io respirava.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Carlo Carlo