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      Il dopopranzo, secondo l’usato, mi posi al balcone: Carlo pure stava al suo. Egli si ritrasse in fondo alla camera, e con un gesto espressivo mi domandò s’io l’amava; fissandolo, sorridendo ed abbassando il capo, io gli risposi di sì.
      La sera dello stesso giorno, essendosi riunita la società d’amici in casa nostra, da taluni giovani, che discorrevano a me d’accanto, intesi pronunziare il nome a me caro. Tesi l’orecchio, ed ascoltai. Dicevan essi che si era diviso dalla famiglia per istarsene tutto solo colla sposa... La parola sposa mi colpì; ma per quanta attenzione usassi, non mi venne fatto raccogliere altro del loro discorso.
      Il mio affetto aumentò col vederlo più spesso, perché, evitando
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      la vigilanza della madre, correva più volte al giorno alla finestra, viemaggiormente eccitata dalla speranza che la sposa, di cui parlavasi, non fosse altra che io stessa.
      Una domenica mia madre uscì di buon mattino. Aprii la solita finestra, e sedutami accanto ad essa, vagheggiava mestamente Carlo, che agli occhi miei appariva più seducente del consueto; egli del pari, postosi vicino alla sua, mi faceva de’ segni che mi sembravano dimostrazioni del più vivo affetto. Nell’atto di contemplarlo, piena della lusinga deliziosa che il cielo non l’avesse creato per altra donna che per me, quanti e quali progetti di futura felicità mi formava! Nel cuor della donzella innamorata havvi giorno più caldamente sospirato di quello delle nozze? Ciò che in religione ed in filosofia suona la voce “avvenire”, è all’orecchio dell’appassionata zittella contenuto nella mistica voce “matrimonio”.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Carlo Carlo