«Credi dunque che gli uomini tutti siano della tempra medesima di Carlo?» mi andava dicendo un’intima voce in tuono carezzevole. «No: non sono tutti d’una pasta. Se vera è la massima, che rara è la lealtà in amore e pochi son coloro che la trovano, pure l’esistenza della virtù è comprovata dalla tua propria sincerità, e ti basta fare una seconda prova per rinvenirla. Uno sguardo, che sa rimescolare fin dal più profondo le viscere, può egli non essere messaggiero d’amore, di compassione, di umanità?».
Non potei resistere alla corrente di sì persuasivi suggerimenti.
Riscaldato dall’immaginazione, il mio cuore infiammossi di bel nuovo, mentre la ragione, soggiogata dal sentimento, si taceva, spoglia d’ogni riparo lasciando l’anima all’invasione del fascino.
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IIILa gelosia
Alludendo al tradizionale sistema di depravazione con cui gli or decaduti tirannelli della nostra penisola snaturavano i costumi de’ loro sudditi, scrisse il più acuto e più arguto de’ critici tedeschi, mancato non ha guari alle lettere, che il maestro Gioacchino Rossini era il solo uomo di stato dell’Italia.
Heine definì così gl’istinti della stirpe latina colla profondità che non seppe impiegare nell’esame dell’indole germanica. Egli soggiornò in Napoli, e studiò da vicino il predominio tremendo della melomanìa nei Napoletani.
Fu detto pure, che con tre F un principe, discepolo di Machiavelli, avrebbe potuto governare comme il faut le genti dell’italia meridionale: Festa, Farina, Forca; la prima a favor de’ nobili, la seconda per i lazzaroni, la terza per i baffuti liberali.
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