«Ti amo, cara Enrichetta, ti amo! promettimi solo fedeltà, e giuro che sarai mia. Domenico».
Rinascosi in seno palpitante la carta, e, fiera di quel tesoro inapprezzabile, feci ritorno alla festa nella certezza che tra la folla non vi fosse altra donna più felice di me.
Lo ritrovai presso la porta d’una stanza, mentre fingeva di ripor-
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si la maschera. Mia madre, che non l’aveva riconosciuto sotto di quella, era naturalmente scevra d’ogni sospetto.
Mi fermò sul limitare, afferrommi la destra, e ponendo un ginocchio a terra, v’impresse un ardente bacio. Sì per l’emozione, sì pel timore d’essere sorpresi, i nostri labbri rimasero mutoli.
Me ne svincolai, e fuggii.
Di là a pochi giorni, l’avo di Domenico, presentatosi a’ miei genitori, mi chiedeva in isposa pel nipote.
Chiesero costoro la ragione per cui non fosse venuto il padre stesso a fare la richiesta; e l’avo schiettamente rispose, non essere il padre contento dell’unione, avendo intenzione di dare al figlio un’altra sposa: ch’egli, l’avo, mosso dalle lagrime del nipote suo futuro erede, erasi determinato a quel passo nella speranza che il genitore stesso avrebbe finito coll’aggiungere il suo consenso.
Quest’equivoca conclusione, unita alla forte antipatia che mia madre nutriva per Domenico, fece sì che l’avo avesse in risposta, come, senza il consenso del padre, gli sponsali non sarebbero mai avvenuti; che se d’allora in poi avesse il garzone ardito avvicinarsi a me, gli sarebbe stato chiuso l’uscio della casa.
Né mio padre né mia madre mi fecero consapevole dell’ambasciata avuta.
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Enrichetta Domenico Domenico Domenico
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