Attese adunque palpitando l’opportunità per potersi avvicinare a Giuseppina, che in quel momento stava discorrendo con giovanette della sua età.
«La signora Enrichetta è malata forse?» domandò finalmente, non appena si fu aperto un varco sino alla sorellina.
«Sì» rispose questa, fissando la madre.
«Ma ieri stava tanto bene! ».
La sorella tacque.
Dopo una lunga pausa, Domenico ripigliò:
«È pure strano il cangiamento della Marescialla a mio riguardo! Ditemi, signorina, ve lo chieggo in grazia, sarebbe forse la malattia di vostra sorella cagionata dall’essermi seduto un istante a lei vicino ieri sera?»
«Credo di sì».
«Dio buono! Pare che la signora madre sia andata in cerca d’un pretesto per allontanarmi. Sono stati tanto innocenti i nostri discorsi, tenuti d’altronde in sua presenza, che non so a qual altro motivo attribuire la mia disgrazia».
Il giovine trasse un sospiro, e continuò:
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«Ebbene... non verrò più! Sia fatta la volontà di vostra madre! Vogliate però assicurare vostra sorella, che niente avrà la forza di cangiare il mio cuore per lei».
Si alzò, e senza prendere commiato, senza guardare alcuno, celermente uscì.
Sera nefasta della mia vita! I tuoi effetti non saranno cancellati giammai dalla mia memoria!
La separazione non poteva che esacerbare le furenti gelosie di Domenico. Per mezzo dell’amico suo mi fece conoscere, che se io voleva dargli una prova della mia costanza, doveva astenermi dal ballare con chicchessia.
Niente di più confacevole al mio cordoglio: promisi d’astenermene totalmente.
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