Questa festa, singolare miscuglio di sacro e di profano, di cristiano e d’idolatrico, di costume europeo e di indiano, mette in gran movimento le genti de’ paesi limitrofi e delle Calabrie.
Due smisurati cavalli di carta pesta, montati da due giganti della stessa materia, veggonsi drizzati nella piazza dell’Arcivescovado. i ma pelle di cammello, da’ Messinesi chiamato Beato (non so perché), copre due altri uomini della plebe. Il cammello si accosta ai venditori d’ogni genere, e questi, per devozione, intromettono nella bocca spalancata del questuante quadrupede una porzione della loro merce, la quale viene raccolta in sacchi per le spese della festa.
La parte più rilevante della solennità consiste nella seguente processione: una macchina enorme è condotta per la città. Sopra la stessa messi in movimento rotatorio parecchi pezzi, simboleggianti i corpi celesti, come il sole, la luna, i pianeti, ecc. Vi sono pur fatti rotare de’ cerchi, che grandi alla base, vanno impicciolendosi alla sommità
Bella e sontuosamente fregiata è quella macchina, eretta e posta in azione ad onore di Colei che diede la luce al Dio della carità! Ma le sue funzioni ti rammentano il famoso carro di Jagganatha, o le nefande ecatombe de’ Druidi. A quella vista ti rifugge il cuore, né puoi contenerti dal gridare all’orrenda barbarie.
A’ raggi del sole, della luna, e intorno a’ cerchi sono legati de’ bambini lattanti, le cui snaturate madri, mercé il vile guadagno di pochi ducati che dà loro l’impresario dello spettacolo, li fanno simboleggiare gli angioletti che accompagnano l’Assunta al cielo.
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