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      Chi ha provato l’amore, può di leggieri comprendere quale fosse il mio stato. Amava Domenico con amore tenero ed affettuoso; era attentissima a non dargli alcun motivo di gelosia ed intanto passava ai suoi occhi per donna frivola ed incostante.
      Spuntò l’alba, sempre desiderata dagli amanti afflitti, e la gente di servizio cominciò a fare gli apparecchi del ritorno. Poche ore dopo eravamo in Reggio.
      Paolo fu sollecito a venir la sera prima dell’usato. Lo interrogai cogli occhi se avesse veduto Domenico. Con un leggero chinar di capo m’accennò di sì.
      Mi raccontò più tardi, che il furore aveva condotto l’amico suo ad un passo di pazza disperazione. Determinato di troncare meco, ed una volta per sempre, qualunque relazione, egli aveva promesso a sua padre di partire senz’altro indugio per Napoli. La parola era già data, né più potevasi ritrattare. Nondimeno, gli acerbi rimproveri di Paolo e gli atti della mia giustificazione aveano esercitato un’influenza benefica sullo spirito di lui, né era lontano dal pentirsi del passo, che fatto aveva in un momento di folle dispetto.
      M’alzai, non potendo frenare la commozione prodotta dalle parole di Paolo, e ritiratami in disparte, meditai un istante. Poscia, ripresa la perduta energia, tornai ad occupare il posto abbandonato accanto al confidente delle mie pene.
     
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      «Un ultimo favore vi chieggo» gli dissi con fermo accento. «Vogliate riabboccarvi con Domenico, non per altro se non per annunziargli a nome mio che la parte offesa sono io. Può partire o restare a suo agio, non me ne curo più, conoscendomi innocente della colpa che m’attribuisce.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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