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«Fra mezz’ora m’imbarcherò. Parto per ubbidire agli ordini paterni; ma, Dio volendo, farò ritorno non più tardi di un mese. Allora, sia col suo, sia senza il suo consenso, per mezzo dell’avo mio vi chiederò nuovamente la mano di vostra figlia; né suppongo che me la vogliate negare, avendo veduto che nulla finora poté scemare l’ardente e reciproco amore che ci portiamo».
«Va bene» rispose mia madre: «al vostro ritorno ne parleremo».
Gli porse la mano, ed ei se la portò alla bocca, dicendole:
«Cara madre, siate pietosa!».
Ella sorrise, ed egli esultante se ne partì. Dolorose ricordanze!
Le lagrime mi bagnavano le gote, e la piena degli affetti mi toglieva l’uso della parola. Confidai alla carità degli sguardi il patetico messaggio, che ricusava la lingua di articolare. Entrambi ci sogguardammo sino a tanto che ci fu dato vederci, e quando egli fu scomparso, ancora col favor dell’udito io raccolsi lo spirante rumore de’ suoi passi.
Conviene credere, che ogni persona abbia nella sua vita una qualche data nefasta, un qualche critico avvenimento e di sinistra ricordanza, che dà principio ad una serie non interrotta di susseguenti disastri. L’ora nefasta della vita mia era dall’oroscopo segnata nel mezzo di quella spaventosa notte, in cui lo squilibrio degli elemen-
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ti minacciò di distruggere Reggio ed altre città delle Calabrie.
Altre tristezze io non aveva provato fino allora, se non quelle inevitabili che l’amor vergine cagiona; e sa ciascuno i soavissimi compensi, di che sono rattemprate quelle mestizie.
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Dio Reggio Calabrie
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