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      « Non sono afflitto» disse, «ma mi sento male, e mi rincresce di non condurre al teatro stasera».
      «Che mai dite? di questo vi duole? Ecco levati i nastri dalla mia chioma !».
      E in così dire, deposi la pettinatura sopra la sedia.
      Chiamai Ginseppina, chiamai la madre. Il vecchio disse alla moglie sentirsi gravemente ammalato dal mezzodì in poi, e che credeva le sue sofferenze sintomi di vicina morte.
     
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      Lo menammo nella sua stanza col cuore spezzato da tali detti, e si mandò a chiamare il medico. L’indomani un consiglio di professori dichiarava, che il malato era affetto da una infiammazione de’ visceri.
      Al quarto dì perdevano i medici ogni speranza di poterlo risanare, ed al settimo ci annunziarono come, vani essendo riesciti i loro sforzi, dovevamo somministrargli gli ultimi conforti della religione.
      Non comprenderanno appieno la violenza de’ miei singulti, la mia disperazione, se non quelle fra le orfane, che rimasero orbate d’un genitore, al cui affetto avevano esclusivamente affidata la somma de’ beni presenti e futuri! L’estrema unzione d’un tale padre spande per le funeree fiaccole sull’avvenire dell’orfano riverberi tanto foschi, che verun sole avrà più la virtù di dissipare.
      Terminata la lugubre funzione, volemmo essere ricondotte nella sua stanza. Lo ritrovammo poggiato sul fianco dritto, colle spalle alla porta per cui s’entrava.
      Il mio volto era contraffatto dal pianto: gli astanti mi fecero segno di non avvicinarmi a lui. Sedetti allora accanto alla porta, a stento frenando le lagrime.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Ginseppina