Cupo silenzio regnava, non da altro interrotto che dall’andito affannoso di mio padre. Le sue palpebre socchiuse si riaprirono ad un tratto, e gridò:
«Enrichetta! ». M’avvicinai al letto, ma il letargo l’ammutolì.
Dopo un tratto cercò di rialzarsi e chiamò nuovamente, e più forte: «Enrichetta!»
«Son qui» gli dissi... «son qui. Che desiderate, padre dolcissimo?».
Mi fissò con un occhio impietrito, ma tenerissimo, di cui eterna mi resterà la rimembranza; poi domandò:
«Perché mi lasci?»
«Sono vicina a te» risposi con voce soffocata dal singhiozzo. Ed egli:
«Sai che ho ricevuto i sacramenti?»
«Lo so».
«Mi sento in pace coll’anima» ripigliò. «Solo una cosa mi fa morire scontento, ed è il tuo avvenire... Che ne sarà di te, povera figlia?».
Profetiche parole, che nelle mie ulteriori vicende ebbi presenti sempre, e ad ogni passo!
L’indomani egli era prossimo all’agonia. In un intervallo di luci-
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dità chiamò mia madre a sé, e le disse in accenti male articolati:
«Teresa, conduci altrove queste povere figlie! La loro vista mi opprime il cuore. Esse perdono il padre prima d’aver avuto uno sposo che possa proteggerle e soccorrerle. In questi estremi momenti debbo pensare alla divina misericordia, e lasciare ad essa la cura del resto».
Mia madre ci fece cenno di approssimarci: c’inginocchiammo tutte.
Egli stese le mani tremanti, e ci benedisse. Ci sogguardò una per una, poi richiuse gli occhi.
Sulla sera il confessore entrò mesto nella nostra stanza, e il suo silenzio ci disse che non avevamo più padre!
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Enrichetta
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