Una sera vidi entrare Domenico pallido e sgomentato. Chiestogli il motivo del suo turbamento, mi fece vedere una lettera di suo padre poco prima pervenutagli, la quale gli intimava di subito ritornare in famiglia. Per costringerlo all’ubbidienza, il padre rifiutavasi di soccorrerlo pecuniarmente, ragion per cui, trovatosi il giovine destituito d’ogni sussidio, era fatalmente costretto a ripatriare.
E così fu. Due giorni dopo, fattimi i più fervidi giuramenti di costanza ed ottenuti i miei, se ne partì, promettendo di scrivere a mia madre ogni settimana.
Ahimè! ci disgiungeva il destino per la seconda volta! Quando l’avrei riveduto?
Furono spesi molti giorni in ricevere e render visite ai parenti, che subito non avevano saputo il nostro arrivo. Il più assiduo in visitarci era il generale Salluzzi, la cui sorella trovavasi vedova del prin-
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cipe di Forino, fratello di mio padre. Egli prendevasi vivo interesse di noi e dei nostri affari. Tre zie, monache benedettine, una nel monastero di Santa Patrizia, e due in quello di San Gregorio Armeno, ci si mostravano pur affezionate. Erano desse somigliantissime in volto al deplorato nostro padre loro fratello, senonché maggiori di lui per età, poiché tutte tre ottuagenarie.
Lasciata avendo la capitale in età di sei anni, ed essendo rimasta lino allora assente nelle Calabrie, io non conosceva di persona nessun parente; tutto m’era nuovo in Napoli. Una di queste zie, quella appunto della quale io portava il nome, era badessa in San Gregorio Armeno.
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