Ma la mia avversa stella aveva altrimenti disposto! Io mi pasceva di splendide speranze, mentre spalancata stavami a’ piedi la voragine.
Era prossimo il Natale; le nozze di Giuseppina dovevano celebrarsi privatamente il secondo giorno di gennaio.
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Disse un mattino mia madre, che urgenti faccende l’obbligavano ad uscir sola, ma che sperava di non trattenersi lungamente fuori di casa.
Ritornò infatti dopo un’ora di assenza: la contemplai, mi parve giuliva anzi che no; donde dedussi e congetturai, che l’affar suo di premura avesse avuto un esito prospero. Né devo nascondere il fatto, che palpitai per inquietudine, supponendo non si tramasse a mia insaputa qualche progetto di matrimonio, il quale stesse per definitivamente separarmi dall’oggetto dei miei pensieri.
Erano appena scorsi pochi giorni da questa gita misteriosa, quando una mattina, alle Otto, fu suonato alla porta. Il domestico non era in casa: l’uscio fu aperto da me.
Una fantesca, che conobbi per quella della mia zia badessa, recava sulla guantiera un dono di dolci.
Alla prima vista del dono rimasi conturbata, avendo supposto che quello esser potesse l’esordio d’una qualche trattativa di matrimonio per me: tale presso alcuni è l’usanza. Le sembianze della fantesca mi rinfrancarono: io respirai.
«Siete voi la signorina Enrichetta?» domandò questa.
«Sì» risposi.
«La signora badessa vostra zia vi saluta...»
«Grazie, grazie: altrettanto da parte mia!»
«E vi fa conoscere che il Capitolo è riuscito all’unanimità per l’ammissione vostra al monastero.
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