Sono sicura d’altronde che la pace del Convento servirà di molto a calmare il tuo cuore, turbato da una folle passione... Ma, dopo due mesi, le amorevolezze delle monache non avranno espulso dal cuore tuo l’aborrimento pel chiostro, prometto di riprenderti meco. Per ora ritrattarmi non posso, fatto già essendo a tuo favore il Capitolo per l’ammissione».
«Mamma!» esclamai, gettandomi ai suoi piedi, e serrandole convulsivamente le ginocchia: «Mamma, non mi rinchiudere, per pietà! Al solo nome del monastero mi sento presa dalla disperazione!».
Ella si alzò bruscamente, svincolandosi dalle mie braccia, ed in tuono severo mi disse:
«Tuo padre non ha lasciato per te né dote né tutore: l’arbitra della tua sorte sono io sola... le leggi divine ed umane t’impongono l’ubbidienza, e, affé di Dio, tu ubbidirai!».
Contenni, per ultimo segno di protesta, i singhiozzi, e non aggiunsi parola. Del resto, ogni osservazione ulteriore sarebbe tornata ugualmente vuota di effetto. Se, per oratori e per filosofi, nume tutelare era sotto il regime borbonico il Dio Silenzio, quanto più lo doveva essere per una giovane orfana, derelitta, e ancor minore?
Vedutami ammutolita, impietrita, colle mani giunte, cogli occhi volti al cielo, colla più profonda costernazione impressa nel mio atteggiamento, parve la madre mossa a pietà della figliuola; per lo che, raddolcendo la voce, e venuta a carezzarmi colla destra le inanellate trecce, prese ad esortarmi in accenti meno duri, in sensi più conformi alla materna carità. Disse: il convento non essere carcere, come il mondo generalmente suppone, ma sì orto di salute, intemerato asilo, ove le anime, superiori alle sociali vanità, od abbeverate da disinganni, rinvengono respiro non mai contaminato dall’alito funesto delle passioni né soggetto alle procelle del secolo.
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