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      d’altronde profusi in que’ ritiri, non soltanto gli spirituali conforti, ma inoltre tutti gli agi della vita nobile, e perfino le raffinatezze e le oneste ricreazioni del mondo elegante. Se così non fosse, come vi si sarebbero albergate tante e tante centinaia di giovanette, discese dalle più illustri prosapie di Napoli, munite di vistose dotazioni? Alla fin fine, l’ingresso mio nel chiostro non sarebbe stato che un breve saggio di due mesi, allo spirar de’ quali avrei, volendolo, ricuperata senza fallo la mia libertà, per farne l’uso che meglio mi converrebbe. Mi disse queste, ed altre cose ancora.
      Erasi frattanto proposta di condurmi al monastero nella giornata, ma l’enfiagione dei miei occhi essendo tale da metter paura, dovette suo malgrado astenersene.
      Il giorno appresso, veggendo che invano si sarebbe attesa la fine del pianto, mi ordinò di apparecchiarmi... Povera Giuseppina! Io non aveva né la mente né il cuore a segno... Fu dessa che mi allestì. La madre, ora rimproverava le mie esitazioni, ora m’incoraggiava dicendomi:
      «Sta’ pure certa che fra due mesi verrò a riprenderti!».
      Dalla carrozza scesi alla porta del monastero contristata, e montai piangendo la prima scala che mena alla seconda, detta della clausura.
      Nell’aprire la porta suddetta, la portinaia suonò un campanello onde avvertire la Comunità che la vittima stava per entrare.
      Mia zia, l’abbadessa, trovavasi nella porterìa, e fu la prima a venirmi incontro. Tutta contenta mi strinse al seno, e susurrommi all’orecchio in tuono affabilmente imperioso di ringraziare le monache del favore che mi avevano usato, accettandomi per loro compagna.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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