Autori, degni di tutta fede, raccontano che solamente in queste nostre provincie meridionali, e non compresa la Sicilia, in circa mille monasteri greci, fra grandi e piccoli, militavano fino alla metà del secolo XV sotto la regola suddetta.
La chiesa ed il monastero, di che tengo parola, godono l’anzianità fra tutti dell’ordine medesimo in Napoli fondato, ed ebbero a protettore san Gregorio Armeno, perché le vergini fuggitive, che vi si costituirono, avean con esso loro recata la reliquia di questo apostolo dall’Armenia. La caduta dell’impero greco, cagionata dalla conquista di Maometto secondo, e la soggezione del patriarcato bizantino che ne derivò, diedero il tracollo al carattere, non che al rito orientale, che l’Ordine basiliano aveva fino a quel punto conservati in Italia. Ma per ragioni non abbastanza note, i monasteri di donne abbandonarono la regola di san Basilio, per abbracciare l’altra non molto dissimile ed omogenea di san Benedetto, ancor prima che i conventi di monaci basiliani si fossero del tutto latinizzati: fatto avvenuto dopo quelle tre potenti e consecutive crisi della Chiesa occidentale: la riforma, il gesuitismo, ed il concilio di Trento; crisi successe nel XVI secolo.
Nella facciata della chiesa di San Gregorio, sopra un alto basamento con tre archi di fronte, costrutto a bugne, si elevano due altri ordini di costruzioni, il composito sul dorico. Pochi scalini conducono all’atrio spazioso retto da quattro pilastri, su cui poggia il coro grande delle monache.
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