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      Stava per rispondermi la madre mia, quando entrò la portinaia, ed in seguito accorsero altre monache per salutarla. Dopo di avere scambiati alcuni termini di cortesia, diss’ella di voler andare ad ascoltare la messa in San Lorenzo, e che più tardi sarebbe ritornata. Uscì dunque del parlatorio, ed io, attendendola, mi trattenni fuori del corridoio, immersa nel sentimento dell’abbandono, in cui slanciata mi aveva una dura fatalità.
      Scorse un’ora, un’ora e mezza, ne scorsero due, mentre io misurava a passi lenti il pavimento del corridoio, e frattanto non la vedeva ritornare. Dolente del suo ritardo, mi volsi alla portinaia, pregandola di mandare alla vicina chiesa di San Lorenzo una delle tante donne che ne stavano oziose all’atrio del monastero, per sapere ragione che impediva mia madre di ritornare. La portinaia, presami la mano, mi disse:
      «Abbi pazienza, cara mia.., per amore o per forza bisogna trangugiare questo calice...».
     
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      «Di qual calice parli?» le chiesi spaventata, e col presentimento di qualche nuova sventura. «Ti dico che mia madre tarda a tornare, e vorrei conoscerne il perché».
      «Inutilmente l’aspetti».
      «Perché?»
      «Tua madre è già partita alla volta di Reggio».
      Se la portinaia non mi avesse sostenuta pel busto, sarei caduta in terra.
      Per lunga pezza restai pietrificata. Ben sapeva io che la madre doveva lasciarmi, ma perché mai partiva l’indomani della mia chiusura? perché partiva senza avvertirmene?
      I miei nervi, scossi già di troppo da tanti dispiaceri, non poterono resistere a quest’ultimo colpo.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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