Lo storico od il filosofo che nelle pallide pagine de’ Cronisti o nella fantasia depravata del Seicento non rinvenisse materiali, capaci di ricostruire al
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naturale quell’èra reproba che inaugura e chiude in Italia la dominazione straniera, entri, se il potrà, in un convento di donne! Vivi e palpitanti vi troverà tuttora, a dispetto della riforma tridentina, i costumi del secolo de’ Borgia, de’ Medici, de’ Farnesi, le tradizioni delle corti di Colonna e di Pietro di Toledo, i pregiudizi del feudalismo normanno ed aragonese, la crassa ignoranza e le superstizioni del volgo all’epoca degli auto-da-fé. Quale museo di antichità può, al pari del monastero di femmine napoletano, presentare tanto piene di vita e di movimento le reliquie del Medio Evo, curiosamente incassate in lavori d’intaglio dell’epoca di Carlo V, le dipinture della Divina Commedia e del Decamerone, ristaurate dal pennello di Calderòn de la Barca, e di Cervantes? Il funebre manto della clausura salvò incolume questa necropoli, come lo strato lapillare del Vesuvio conservò i papiri d’Ercolano, e le mummie di Pompeia.
Confermati pertanto dall’esperienza mia sono i giudizi dell’anonimo, che nella prefazione ad una cronaca scandalosa d’apocrifa memoria (Cronaca del Convento di Sant’Arcangelo a Bajano), tracciò le vicende storiche del convento di donne napoletano. Né sono i costumi di Napoli tanto riformati, che inapplicabili al presente tornino le considerazioni dell’autore su’ tempi andati.
«Alla dominazione normanna» scriv’egli «s’introdussero le leggi claustrali in tutto il loro vigore.
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