Quale è lo speciale connotato, il tratto caratteristico, che distingue il convento di donne dal convento di uomini?
È rimasto inosservato al mondo finora. Lo rivelerò io. È la confessione.
Nell’anno 1571 per ordine dell’arcivescovo Carafa fu imposto a tutti i monasteri di donne, soggetti alla sua giurisdizione, di scacciare i monaci dal confessionale, ed indi in poi non ricevere per confessori che preti secolari.
« Questo mutare» narra la cronaca di suora Fulvia «dispiacque a tutte, sì per essere quei padri di tanta edificazione, sì anco perché non ne persuadevamo che i preti secolari così di leggiero potessero aver saggio di quello che conviene alle regole claustrali».
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Ebbe questa separazione per effetto, che nell’argomento della confessione non vi fu più conformità di parere e di sentimenti fra i monaci di diverso sesso.
Che se ufficio semplice e facile a praticarsi è presso i monaci questo sagramento, per le monache però non è così. L’argomento della confessione assorbe le giornaliere e notturne cure di queste, occupa i loro pensieri, fissa i loro sentimenti, fornisce alle loro ricreazion alimento inesausto. Coll’andar del tempo la confessione è addivenuta per esse la condizione sine qua non della loro esistenza: scienza occulta, che s’impara nel silenzio del carcere, parte per propria esperienza, parte per mutuo insegnamento: specie di camorra, che ha i suoi adepti, i suoi taciti regolamenti, i suoi capi, il suo codice penale. Supponete un qualche concilio, che nei conventi donneschi sopprima il bene supremo del confessionale!
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Carafa Fulvia
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