Ora, un confessore di comunità aveva prima della sua nomina una penitente giovane. Ogni volta che veniva per assistere una moribonda, e quindi pernottava nel monastero, la giovane monaca, scavalcando le logge che separavano la sua dalla stanza del prete, si recava presso il maestro e direttore dell’anima sua.
Un’altra fu assalita dal tifo; durante il delirio, altro non fece che inviar baci al confessore, assiso accanto alletto. Egli, coperto di rossore, per la presenza di persone estranee, portava innanzi agli occhi della sua inferma un Crocifisso, lamentevolmente esclamando:
«Poveretta, bacia il suo sposo!».
Sotto vincolo di segretezza mi confidò un’educanda tanto bella di forme e candida di costumi, quanto nobilissima di prosapia, d’aver avuto nel confessionale e per mano del suo confessore una lettura (come diceva) interessantissima, perché relativa allo stato monastico. Spiegai il desiderio di sapere il titolo, ed ella, per farmi
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vedere lo stesso libro, anticipò la precauzione di mettere all’uscio il chiavistello. Era la Monaca di Didérot, libro, come tutti sanno, pieno di disgustose laidezze, e però nelle mani di un’innocente giovinetta più che libro al mondo perniciosissimo. Dalla conversazione dell’educanda avendo raccapezzato di che in quello scritto trattavasi, le suggerii d’interromperne le lettura, e restituire immantinente lo sconcio prestito. Ma qual fu la mia sorpresa nell’udire dalla tenera zittella non esser essa nuova in letture di simile natura! Per favore del confessore medesimo aveva anteriormente divorato, e per ben quattro volte, un altro libro scandaloso, la Cronaca del monastero di Sant’Arcangelo a Bajano: libro allora proibito dalla polizia borbonica.
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