Tuttodì tormentata da simili fandonie, proprie piuttosto du bon vieux temps delle crociate che di questo nostro, e non meno atte a snaturare la mente che a deturpare la coscienza e il cuore, pregai il cielo che sana volesse conservarmi la povera ragione.
Frattanto il tempo della mia liberazione si approssimava.
Due giorni prima di quello destinato all’uscita, mi fu recata una lettera. L’aprii: era anonima, e cominciava con questa frase: «Leggetela ai piedi del Crocifisso!».
L’autore dicevasi persona, cui l’anima mia pericolante spirava pietà. La risoluzione di ripudiare lo stato monastico era, a parer suo, opera di Satanasso, il quale erasi preso l’impegno di attirarmi seco nell’Inferno; per la mia lunga renitenza, Iddio mi abbandonava agli artigli del Demonio; essere nullameno tempo ancora di fare ammenda del passato, rimanendo nel chiostro. Conchiudeva, che nel mettere il piede fuori del monastero sarei stata sospinta da mano invi-
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sibile, al quale segno del divino intervento se non ne fossi stata dissuasa, egli (lo scrivente) nel dì dell’estremo giudizio sarebbe stato il mio inesorabile accusatore innanzi a Dio.
Esaminai quella scrittura: non mi parve totalmente nuova. Esplorai le mie carte: non vi trovai alcun carattere somigliante. Pure era ben sicura di averla altre volte veduta. Domandai alla portinaia chi avesse recato quel foglio; mi rispose: «Un tale, ignoto a me, che dopo di averlo posto nella ruota, frettoloso se ne partì».
In un angolo dell’arcato corridoio eravi una cappelletta, dedicata a sant’Antimo, santo di origine basiliana.
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