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      parlavasi d’una messa, destinata a perpetuarne la memoria negli annali e ne’ fasti del chiostro.
      Ma, non ostante il misterioso tintinnìo, restai ferma nella mia deliberazione. All’ora fissata abbracciai teneramente la vecchia zia, valicai esultante la soglia del monastero, e dopo d’aver visitato Giuseppina, che non aveva veduta da qualche tempo per la sua infermità, mi recai in casa dell’altra sorella, ove mi trattenni dieci giorni, aspettando l’ora della partenza.
      Ma era scritto che il mio riscatto esser dovesse di breve durata!
      In questo mentre io riceveva da Reggio due lettere; erano delle altre due sorelle, colà maritate, che, per urgenza e a tutta possa, mi consigliavano di restituirmi all’abbandonato cenobio. Erano poi dolorosissime le ragioni che le inducevano a darmi tale consiglio. Mia madre era in procinto di passare a seconde nozze; Domenico, posto in oblio l’amor mio, ed impassibile alle mie sventure, erasi dedicato ad altra donna; del resto, io correva il rischio di passare da un monastero della capitale in uno di quelli della provincia.
      Queste infauste notizie mi atterrirono: scaricavasi d’un sol tratto sul capo mio tutto quanto il peso dell’orfanezza.
      Dopo d’aver lungamente ponderate le condizioni della critica situazione in cui quelle novelle mi ponevano, mi spinsi, benché a malincuore, a domandare, se voleva il cognato ritenermi presso di sé, insino a che fosse piaciuto al Signore di procurarmi altro rifugio. Il cognato gentilmente vi consentì.
      Deliberai allora che, quando quella dama di Messina fosse venuta per prendermi seco lei, le direi che si partisse sola.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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