A questo consiglio si conformarono eziandio e la sorella ed il cognato ed altre persone famigliari, né, a dire il vero, scorgeva neppur io, fuori di quello, altro schermo che mi campasse dalla disperazione.
Non sapendo dunque a quale miglior santo rivolgermi, secondo il detto comune, mi feci il dopo pranzo ricondurre al convento. Ivi, chiamata la zia in disparte, le dissi volermi novellamente chiudere per pochi altri mesi ancora, al che essa rispose, che sopra tale risoluzione faceva d’uopo consultare la disposizione delle monache.
Poco dopo, convocate queste nel parlatorio, e udita per bocca della badessa la mia domanda, risposero, che mi avrebbero accolta volentieri nello stabilimento, se dichiarava, in quell’istante medesimo, di rientrarvi non provvisoriamente, ma per farmi religiosa; nel caso contrario, dichiaravano di volermi chiudere le porte.
Quale orribile alternativa!
Mia sorella, vedendomi sulle spine, notando massimamente l’esitazione mia nel rispondere, mi esortò sottovoce a dire pel momento di sì, che poi, rientrata, non mi avrebbero di leggieri respinta.
Me ne persuasi, e risposi sommessamente, che rientrava col disegno di farmi monaca.
«Affermatelo pure ad alta voce» mi disse la badessa. «Siete alfine determinata di dare i voti?».
Il cuore mi batteva forte, il capo mi girava: credeva di venir meno. Chiesi d’una seggiola, tersi colla pezzuola il freddo sudore che mi colava dalla fronte, e con voce di agonizzante risposi:
«Sì».
Il dado era tratto… fatale Sì!
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Non appena ebbi pronunziata l’affermativa, uno scoppio d’acclamazioni e di festose grida mi percosse l’udito.
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