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      «Non sarebbe meglio» domandai a me stessa, «confidare alla zia le mie angustie? Ma ella dorme a quest’ora! La sveglierò».
      Per giungere alla sua stanza, bisognava traversare un tenebroso corridoio. Bussai all’uscio: nessun risponde. Torno a bussare: la conversa riconosce la mia voce, ed apre, sgomentata da tale vista.
      Nel vedermi a quell’ora, e sì fortemente conturbata, anche la badessa trasecolò. Dopo aver fatto uscire la conversa:
      «Cara zia» le dissi, contenendo appena la commozione che m’agitava: «duolmi assai di recarvi tante e sì gravi molestie; ma il tempo stringe, gli affari miei camminano con soverchia celerità, poiché non voglio lasciarmi sorprendere dagli eventi al di là del dovere».
      L’informai allora minutamente del concorso di circostanze, che mi avevano indotta a ritornare nel monastero, non senza la riserva d’un imminente e definitivo riscatto, e conclusi il ragionamento dichiarandole ch’io provava per lo stato monastico la più ferma ed insuperabile ripugnanza.
      La povera vecchia diè tosto nel pianto, e fattosi delle mani velo, esclamò:
      «Lassa! Quale vergogna attendeva la mia vecchiaia, e l’ultimo mio badessato! Che mai diranno le monache? Che dirà il cardinale? Che dirà il vicario? Che dirà il mondo intero? Chiameranno pazzerella te, e me più pazza ancora, per averti persuasa a rientrare. E la riputazione del convento!... E il campanello di san Benedetto che ha suonato!... E le gazzette che ne parleranno!... Qual ampia materia di scandalo! Quale argomento di favole presso gI’increduli della città!’ ».


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Benedetto