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      Questo tempo fu dalla comunità dedicato ad apparecchiare a spese mie... i confetti pel giorno della festa. Frattanto mia zia, che per un intero decennio aveva esercitato le funzioni di badessa, fu surrogata da un’altra Caracciolo, donna piuttosto burbera e rigorosa. Questo rigore, contrapposto alla soverchia affabilità di mia zia, fece sì che malcontente ne uscissero tutte le monache.
      Quaranta giorni prima della mia vestizione fu deciso, per contentare mia madre, ch’io passassi questo spazio di tempo presso di lei. Però, prima di uscire, mi fu fatto sborsare per le spese della funzione ducati 700, e qui cade acconcio di notare, che l’egregio generale Salluzzi mantenne la sua promessa, donandomi ducati mille.
      In questo mentre mia madre, reduce dalla Calabria, prese alloggio in casa di Giuseppina di conserva colle mie due sorelline. Tanto essa che gli altri parenti, nel notare la mia rassegnazione ad un male che ormai sembravami inevitabile, riputarono vera e spontanea la mia vocazione. Dal canto mio, dovendo rinunziare al mondo per sempre, e volendo evitare ulteriori rammarichi, schivai, per quello spazio di tempo, e teatro, e passeggio, e società. Tentai soltanto un giorno di cantare sul piano-forte un’arietta popolare, quella che tanto era piaciuta altra volta a Domenico; ma la commozione che mi sorprese, ma i rimpianti amari che nel cuore mi ripullularono, diedero ai miei nervi sì gagliarda scossa, che d’allora in poi feci divorzio anche colla musica, né suonai più che l’organo della chiesa.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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