Quanto mi avvicinava a San Gregorio, tanto più distinto facevasi il suono delle campane. Ogni tòcco era suono funereo nell’animo mio.
All’angolo della strada, il confuso cicalar della moltitudine, accorsa da ogni parte, lo sparo dei mortaletti, le acclamazioni delle donnicciuole a’ balconi, e la banda degli Svizzeri finirono di impietrirmi. Io ho provate le estreme sensazioni del suppliziato!
Al portone della chiesa fui ricevuta da una processione di preti colla croce in alto. Due altre dame si posero al mio fianco, la principessa di Montemiletto e la marchesa Messanella. Il prete colla croce in mano camminava innanzi, gli altri formavano due ale.
La chiesa era parata con eleganza, illuminata con profusione, e divisa nel mezzo da uno steccato bianco e rosso, alla cui dritta stanziavano le signore, che erano state invitate e ricevute da mia madre, ed a sinistra stavano i cavalieri, ricevuti da mio cugino il principe Forino.
Di quella assemblea numerosa, delle variopinte decorazioni, di quell’oceano di luce altro non vidi che una massa informe e confusa. Giunta che fui al mezzo del tempio, mi fecero inginocchiare, e mi presentarono una piccola croce d’argento, e una candela accesa. Dovetti poggiare la prima sul petto, tenendola colla sinistra, e portar nella destra la fiaccola.
Nel passare vicino alle signore, la mia sorellina Giulietta stese le mani per afferrarmi dal velo, e gridò tanto alto da farsi sentire da tutti:
«Non voglio, no, non voglio che tu vada a chiuderti!».
Quella voce argentina attirò l’attenzione d’ogni persona.
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