«Vattene colla gente perduta! Indegna sei di convivere colle spose di Gesù Cristo!».
Questo duro insulto, che nessuna ha il coraggio di affrontare, rende vano lo sperimento del noviziato e fa sì che la donzella si trovi moralmente vincolata sin dal momento che ha preso il velo.
Venne alfine l’ultimo e definitivo giorno.
La mattina del l ottobre presentossi primo il canonico, che mi trattenne nel confessionale dalle 7 fino alle 11, ora in cui doveva darsi principio alla funzione.
A poco a poco la chiesa si riempì di invitati: ne fu stipato perfino il portico. V’erano parecchi distinti personaggi, fra i quali un principe reale di Danimarca (attualmente regnante), condottovi dal general Salluzzi. Egli viaggiava da incognito, compiva appena il quarto lustro, ed era d’un’avvenenza peregrina. Tanto il generale che il principe, indossavano l’abito di gaia, e portavano la fascia di San Gennaro.
Dal cardinale Caracciolo fu cantato il pontificale, terminato il quale, gl’invitati rifluirono affollatissimi vicino al comunichino, ove
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io m’avanzava, fiancheggiata da quattro monache, con in mano delle fiaccole accese.
Due di esse mi presentarono svolta una pergamena, portante in lingua latina la formula del giuramento, contornata da immagini di Santi in acquerello, e da indorati arabeschi.
Doveva leggerla ad alta voce: la voce mi mancava.
Incominciai a leggerla sommessamente: m’intesi dire: «Più forte!».
Feci uno sforzo per alzar la voce, e pronunziare i quattro voti CASTITÀ, POVERTÀ, UBBIDIENZA e PERPETUA CLAUSURA…. La voce intoppò, e dovetti per un momento soffermarmi.
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