In quel momento appunto, la candela accesa, che una delle monache teneva, scappatale di mano, cadde in terra e si spense. Singolare augurio!
Finita la lettura, vi apposi la propria firma, come fecero pure la badessa ed il cardinale.
Frattanto nel mezzo del comunichino eravi disteso a terra un tappeto. Mi fecero coricare boccone su di quello, quindi mi coprirono tutta con una nera coltre mortuaria, portante nel mezzo un cranio ricamato. Quattro candelieri con torce ardevano a’ quattro lati: la campana andava suonando lugubremente i tòcchi dei morti, cui ad intervalli rispondevano alcuni gemiti, partiti dal fondo della chiesa.
Poco appresso, il cardinale, voltosi verso di me, mi evocò tre volte colla seguente apostrofe: «Surge, quae dormis, et exurge a mortuis, et illuminabit te Christus!» cioè: O tu, che dormi nella morte, déstati! Iddio t’illuminerà!
Alla prima invocazione le monache mi scovrirono dal mortuario drappo: alla seconda m’inginocchiai sul tappeto; alla terza balzai in piedi e m’appressai al portello del comunichino.
Un’altra frase latina, non meno mistica di quello che lo sia la precedente, mi percosse l’udito: «Ut vivant mortui, et moriantur viventes». La lingua morta del Lazio chiama tuttora morte la vita sociale: la lingua di Dante e dell’Italia rigenerata chiama al contrario morte la monastica inerzia.
Alfine il cardinale benedisse la cocolla benedettina, che indossai sopra la tonaca, e poscia mi comunicò. Vennero allora a baciarmi prima la badessa, poi le monache tutte per ordine gerarchico; e, dopo una breve predica, la funzione terminò.
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