Allora gl’invitati salirono al parlatorio, dove furono serviti di dolci e rinfreschi. Per aprir la porta e farmi ricevere le solite con-
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gratulazioni si aspettò che mi fossi un poco rasserenata. Intanto, per mezzo del generale il principe di Danimarca mi domandò se era contenta d’essermi fatta monaca: alla mia risposta affermativa il suo volto si compose all’incredulità.
Volle osservare la mia cocolla; era di lana nera con lunghissimo strascico, e larghe maniche: ultima ricordanza del monacato di madama di Maintenon.
Usano le monache offrire un mazzo di rose artificiali al cardinale, ed un altro a ciascheduno dei vescovi che hanno assistito al pontificale. Ne presentai pur uno al principe, che accolse il dono con gentilezza.
«Rose morte da una morta» disse a S. A. il mio benefattore.
«Andiamo, generale» rispose colui: «Non reggo più nel vedere questa giovane, tanto barbaramente immolata».
Uscita la gente, i ferrei cancelli del monastero tornarono a stridere su’ loro cardini. D’allora in poi, mi separava dal mondo un baratro, secondo ogni apparenza, insuperabile.
Non doveva più avere né madre, né sorelle, né parenti, né amici, né sostanza alcuna; aveva abdicata perfino la mia personalità.
Eppure nel fondo dell’animo mio sentiva vivo e palpitante ancora il sentimento, che mi muoveva a convivere, idealmente almeno, co’ miei simili.
Aveva fatto alla comunità il sacrifizio della mia persona, ma non già quello della mia ragione, che è un diritto inalienabile. Più alta di san Benedetto imperava nella mia coscienza la voce di Gesù Cristo, il cittadino dell’universo, il distruttore delle sette, delle caste, degli associamenti parziali, il rinnovatore della famiglia, della nazione, dell’umanità, riunite in una sola legge d’amore e di conservazione.
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