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XILa carità delle monache
«Venite» scrive san Matteo, «venite, benedetti di mio Padre, poiché ho avuto fame, e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete, e mi avete dato da bere; era senza asilo, e mi avete accolto; nudo, mi avete vestito; malato, e mi avete visitato; prigione, e siete venuti a me. Allora i giusti gli diranno: Signore, quando, vedutovi affamato, vi abbiamo satollato?... Ed il re loro risponderà: In verità, ve lo dico, ogni qual volta l’avete fatto a taluno dei piccoli miei fratelli, l’avete fatto a me».
Da questi detti fu ispirato san Benedetto, allorché scrisse nella sua Regola:
«Quanti vi chiederanno soccorso, siano accolti come Cristo stesso; poiché vi dirà: Ospite fui, e mi avete accolto».
Le anime si schiusero alla carità, dacché la carità s’incarnò in Gesù Cristo. Da quel punto la beneficenza si organizza in grandi proporzioni: erigonsi ospizi, costruisconsi foresterie, si fondano ordini ospitalieri; i trovatelli, gli orfani, i malati, i poveri, i vecchi, i ciechi, gl’invalidi, i naufraghi trovano speciali rifugi. La vera ospitalità, l’ospitalità dogmatizzata, l’ospitalità sociale vede la luce sulla culla stessa del cristianesimo, e si esercita a favore degli esseri deboli od infelici, che il mondo pagano opprimeva o distruggeva.
Presso gli antichi la donna non era altrimenti considerata, che come un semplice strumento di produzione: gli stessi filosofi la giudicarono un essere incompleto. Il cristianesimo rivela la missione di lei, che consiste nella carità e nella devozione.
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