In Inghilterra, in Germania, o presso i popoli dove il cattolicismo sollevasi al livello del secolo, la Sorella di carità assiste i malati, conforta i sofferenti, prodiga loro ogni cura nelle malattie più schifose. La figlia di san Vincenzo di Paola visita dì e notte il vecchio infermo, medica le sue disgustevoli piaghe, soccorre il moribondo, oppure, divenuta madre
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senz’aver cessato d’esser vergine, riscalda nel seno suo l’abbandonato bambino. Partecipi della cristiana carità si fanno pur i forestieri, e gli stessi pagani. È rimasto il bel nome di Maria del Soccorso alla fondatrice d’una pia congregazione di donne, che si dedica al sollievo de’ poveri stranieri. Le religiose betlemmite facevan voto di servire i poveri malati ancorché infedeli, ed a’ giorni nostri la fama di madamigella Nightingale risuona caramente sì nell’antico che nel nuovo emisfero. «Non v’ha forse nulla di più sublime e più toccante in terra, dice un eminente filosofo, quanto il sagrifizio, che un sesso delicato fa della giovinezza, della bellezza, spesso dell’alta nascita, per sollevare negli spedali quell’ammassamento di umane miserie, di che lo spettacolo è tanto umiliante all’orgoglio, quanto ributtante a’ nostri sensi».
Da questa carità, divinizzata da Cristo, inculcata da Benedetto, umanamente praticata dal clero dell’incivilita cristianità, quanto lontani sono i frati e le monache dell’Italia meridionale!
Dice di loro un antico proverbio, suggerito dall’esperienza:
«Si uniscono senza conoscersi, convivono senz’amarsi, muoiono senza piangersi.
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