Pagina (155/337)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

     
      «Cerca tu stessa di calmare i suoi furori» mi rispose... «ascolta meglio la voce tua».
      «Mi credete dunque maestra di pazze? O pensate ch’io debba starla a badare giorno e notte?»
      «Non importa: ci penserà la Madonna» soggiunse la sciocca superiora.
      L’affare, frattanto, facevasi sempre più serio. A dispetto della disciplina, Angiola Maria si era lasciata crescere i capelli, e, deposto il velo e il soggolo, dividevasi la chioma all’uso secolaresco, dicendo di voler uscire del convento per cercarsi un marito.
      «Voi mi dite pazza» gridava ne’ momenti del parossismo alle monache che la circondavano: «no, non sono io la pazza, per voler marito; pazze, dementi, forsennate non siete voi piuttosto? Voi che, possedendo giovinezza, ricchezze, beltà, e quindi potendo trovar marito più agevolmente, vi state, per mancanza di consorte, intisichendo in questa spelonca? Seguite l’esempio mio, seppur avete in zucca un grano di cervello: buttate via le cocolle, e lasciatevi crescere le treccie, Ut sitis filii patris vestri, qui in caelis est: qui solem suum oriri facit super bonos et malos».
      Altra volta, malgrado l’intenso dolore che accusava all’occipite, componevasi in goffi e sguaiati atteggiamenti, o, sgambettando, e scontorcendosi, e crocchiando il dito medio sul pollice, in modo da imitare il ritmo delle castagnette, intuonava con voce stridula e dissonante le strofe di quella canzonetta in dialetto napoletano:
     
      Guè Mà, ca cchiù non pozzoMenà sola sta vita:
      Io voglio fà la zita,
      Me voglio mmaretà.
     
      Me faje fà vicchiarelle,


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Madonna Angiola Maria