Me faje jire a l’acito:
Guè Mà, voglio o’ marito,
Non pozzo sola stà.
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Sì già, s’è mmaretata,
Teresa e Luvisella:
Pecché a me poverellaMe faje paté accossì?
Lo fecatiello a fforzaS’à da ‘nfelà a lo spito:
Guè Mà, voglio o’ marito,
Non pozzo sola stà.
Si sa, che alle monache è vietato di dormire a porte chiuse: tratto di diffidenza non molto onorevole alle spose di Cristo. Una notte mi sentii sulla fronte il contatto d’una mano ruvida: credetti di aver sognato, e mi riaddormentai. La notte appresso, fu d’altra sorta l’impressione: sentii cadere un bacio sulle mie labbra.., spalancai gli occhi esterrefatta, e vidi l’Angiola Maria, che mi diceva:
«Non aver paura, son io».
«Che cosa vuoi?»
«Niente: non posso dormire».
Gaetanella, che abitava nella mia stanza, avendo un sonno pesante, rare volte destavasi; quand’io, spaventata dalla demente, la scossi, borbottò fra i denti: «Non la volete scacciare questa birbacciona?», indi, voltandosi dall’altro lato, riprese il ferreo sonno.
Intanto divennero sempre più frequenti queste notturne apparizioni; la mia stanza fu posta in istato d’assedio: poco a poco la folle mi fece vittima delle sue smanianti veglie. Sollevando la cortina del letto, accomodavasi seminuda e scarmigliata sulla seggiola, per tenermi i più strani discorsi; donde non tardai a comprendere, come cagione della sua follia fosse la passione violenta concepita pel suo confessore.
Implorai presso la superiora un pronto riparo. Infiacchita dalle frequenti interruzioni del sonno, snervata dall’incessante apprensione, io mi sentiva vicina a cader malata.
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Luvisella Cristo Angiola Maria
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