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      «Hanno uccisa la mia ragazza, eh? Saranno scannate tutte quante, come galline nel pollaio!».
      Non mi mossi dal luogo dove mi trovava; udii le voci che mi chiamavano, ma stetti zitta. Frattanto le monache, che si trovavano nel dormentorio ove la scena accadeva, si chiusero spaventate al più presto; le altre corsero dalla badessa, che con reiterati messaggi mi fece chiamare dalla parte opposta del dormentorio.
      «Cara Enrichetta» disse nel vedermi, «tu sei la sola, che recar possa un rimedio all’attuale scompiglio della comunità».
      «E come?» domandai.
      «Niuna monaca vuol dormire stanotte al secondo piano, dove la frenetica se ne sta. Non mi farai la finezza di riportare il tuo letto nella tua stanza, e farvi inoltre collocare quello d’Angiola Maria? Tu, carina, te la riterrai teco, né le permetterai di uscire».
      «Questo è troppo, reverenda!» risposi sommamente indignata. «No: non lo farò. Prima di tutto, per mancanza di sonno, ho un fiero mal di capo; poi, quella meschina è giunta a tal segno d’alienazione da non riconoscere più la mia voce; finalmente, non darò alle malevole motivo di attribuire alle mie suggestioni ciò che farebbe la pazza nel suo furore».
      «Su, via, non dare ascolto alle chiacchiere di qualche monella: io e la comunità intera te ne saremo gratissime».
      Opposi in giustificazione il mio malessere: ed infatti, aveva la febbre. La badessa conchiuse, dicendomi: «Hai fatto il voto d’ubbidienza: l’ubbidienza dissiperà il tuo malessere».
      Per quanto dispotica mi fosse sembrata quell’ingiunzione, dovetti per amore o per forza uniformarmici.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Enrichetta Angiola Maria