Già stava per voltare dal canto della galleria, allorché parvemi veder brulicare qualcosa di bianco in vicinanza del pozzo.
Mi rimescolaj: era la pazza, che, scalza, scarmigliata, in camicia, guardava nel pozzo, e ne misurava il fondo per precipitarvisi. Entrambe le mani sue stavano poggiate sull’orlo, e colla testa curvata faceva forza sulle braccia per rovesciarsi a capitombolo.
Mandai un urlo: mi udì, si volse a guardarmi, e senza più indugiare sforzossi di accelerare lo squilibrio del corpo, affine di potersi più prestamente precipitare.
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Spiccò un rapido salto, e, stese le mani su di lei, l’afferro per un braccio, che sento agghiacciato dal freddo. Ella si rivolge a me con occhi stravolti, ciechi d’ogni pensiero, non mi riconosce e tenta di svincolarsene, come infatti si distacca. L’abbranco per l’altro braccio che ritengo con ambo le mani, e mi stringo con quanto vigore m’infonde la circostanza. Ma sento che la sua forza supera di molto la mia, e già veggo la furente intenta ad addentarmi il polso. Volli stordirla per salvarla. Coll’uno de’ bracci la trattengo ferma tuttavia, coll’altro le assesto al volto un potente schiaffo.
A quella percossa rientrò per un momento in sé, e proruppe in alti ululati. La presi allora per la mano e la ricondussi senza più tema o fatica nella mia stanza. Ivi si pose a sedere a terra, guaì ancora per un paio d’ore, poscia, racconsolatasi, riprese di nuovo l’incoerente ciarla.
In questo mentre Gaetanella, che, turbata dai singulti della pazza, non potea riprender sonno, si alzò ed uscì. Io pur mi vestii, benché intirizzita dal freddo febbrile che mi faceva battere i denti.
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Gaetanella
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