Rispose l’inetta donna:
«Sai, mo’, che tu sei l’uccello del cattivo augurio?». Mi tacqui allora, né più parlai sul conto di Concetta. Ma di lì a pochi giorni una contadina, sorella della stessa, avvedutasi di ciò che io pure aveva osservato, chiamava la badessa al parlatorio, onde pregarla di prendere in considerazione lo stato mentale della germana. Rimase anche quest’avvertimento senza effetto. La balorda badessa ristringevasi a rimetter l’inferma sotto la protezione della miracolosa Vergine dell’Idria, superiore patrona del convento.
Poco dopo, una vecchia che dormiva con Concetta nella stessa stanza, le disse avere sul far del giorno veduta la sua compagna seduta sui letto, nell’atto di avvolgersi un fazzoletto alla gola, e soltanto le sue grida aver impedito che la si fosse strangolata di propria mano.
«Stasera alle litanie farò dire quaranta volte ora pro ea» rispose la badessa.
Un giorno di domenica, prima del levar dei sole, molte monache stavano ascoltando la santa messa. Si scende al comunichino per una lunga scala, che mena in un cortiletto umido, intorno a cui gira uno stretto corridoio a volta altissima, e sostenuto da pilastri. Io scendeva per comunicarmi; era appena arrivata alla metà della scala, quando intesi un forte rumore, come di grave corpo caduto a terra. Mi coprii il volto colle mani: senza aver veduto niente, il pensiero mi corse all’ipocondrica Concetta.
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Scesi precipitosa, e trovai l’infelice in terra: me l’accostai, la credetti morta, e chiamai aiuto.
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