Né paghe le ladre di portar via queste pie offerte, avevan pur sottratti altri oggetti di valore, vale a dire, orecchini, anelli, diademi, collane ed altri gioielli, lasciando la tela tutta perforata dai chiodetti o spilli cui stavano sospesi i menzionati obbietti. Quale trista impressione produceva quell’immagine, così vandalicamente forata e lacerata, forse per la fretta di darla a gambe!
Questo furto sacrilego avveniva nel triennio dell’abbadessa rigorosa. Le pubbliche gazzette ne bisbigliarono.
L’indomani, di buon mattino, mandò la superiora a chiamare il vicario, invitandovi pure le funzionarie del cenobio, senza escludere la maestra delle converse. Proposta a quest’uffizio era disgraziatamente io, avendo avuto il doppio incarico d’infermiera e di farmacista, incarico della gerarchia monastica che, a dire il vero, mi apportò qualche giovamento, dappoiché ne colsi l’opportunità per infarinarmi mediocremente di materia medica e di clinica.
Il vicario mi avvertì di fare scendere tutta la famiglia nel refettorio, escluse le cieche e le altre la cui infermità era un motivo legittimo per esonerarle dal sospetto. Feci parte dell’ordine alle monache, le quali accorsero in numero di 62.
All’infuori di poche, che di buon cuore prestaronsi alla chiama-
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ta, le altre sfogarono il loro dispetto su di me, insultandomi ciascheduna a modo suo. Queste donnuccole, che nella sua infinita misericordia Cristo si elesse per ispose tra quelle che son venute dalla costola d’Adamo, sicure di non poter essere sfrattate dopo d’avere pronunziati i voti, si fanno lecite le più triviali impertinenze verso le monache coriste.
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Cristo Adamo
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