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Siccome quella somma non era neppure per la ventesima parte equivalente alle cose involate, fu supposto che quel danaro fosse un acconto, e si aspettò con ragionevole speranza il saldo del debito. Se non che, raffreddatosi coll’andar del tempo l’affare, la ladra non si diede più briga di depositare altro denaro. Rimase soltanto nell’animo della maggior parte la brutta convinzione che il furto non avrebbe potuto tornar profittevole al sacrilego, se la persona che l’aveva perpetrato non avesse avuto complici dentro il convento e manutengoli fuori.
Secondo esempio di sacrilegio. Dall’armadio del deposito (ho detto esser questo il generale peculio delle monache) furono trafugati ducati cento; era questa somma destinata alla formazione d’un’annua rendita per la lampada sospesa all’immagine dell’Immacolata. Anche dell’origine di questo furto non se ne seppe nulla.
Esempio terzo. Nel dare i conti del suo badessato, mia zia trovò nella cassa della comunità un deficit di più migliaia di ducati. La poveretta non sapeva come spiegare l’enorme vuoto, tanto più ch’essa non ne aveva mai tenuta la chiave, essendo questa per consuetudine affidata alla segretaria e ad altre anziane. Non venne mai fatto di schiarire come la cosa fosse andata; so bensì che questo rammarico abbreviò i giorni di mia zia.
Un’altra specie d’abuso si commette nel chiostro, ed è lo scandaloso guadagno che deriva alle monache dal traffico dei dolci e delle medicine.
Ho detto più sopra ch’io aveva l’incombenza dell’infermeria e della farmacia; per maggior esattezza soggiungerò che in codesti incarichi io non era che l’assistente di un’altra, la quale, per la sua avanzata età non potendo scendere nella farmacia che ben di rado, ristringevasi a trasmettermi gli ordini opportuni per mezzo della sua conversa.
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Immacolata
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