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      Costei per mala sorte era una delle più impertinenti e caparbie fra le monache.
      Durai cinque anni in quest’impiego, non senza protestar di tratto in tratto contro il prezzo esagerato delle medicine, il quale avrebbe dovuto ad ogni modo esser più basso che non era quello delle pubbliche farmacie, non avendo noi a pagare né pigione di bottega, né spese d’illuminazione, né servitù, né mancie a’ medici, e d’altra parte non dovendo, a guisa di negozianti, mirare al lucro, ma sibbene alla reciproca umanità.
      Feci un giorno le più energiche lagnanze, perché, avendo io stessa comprato un medicamento a quattro carlini la libbra, me lo facevano spietatamente smerciare alla famiglia a dodici grana l’oncia, vale a dire al quadruplo incirca del prezzo d’acquisto: usura ingente dell’80 per cento!
      Un’altra volta aveva detto alla portinaia di licenziare i contadini che avessero portate le viole mammole, come solevano farlo ogni anno nella primavera, avendo già estratto sufficiente sciroppo dal-
     
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      le medesime; ma la conversa, che aveva sempre un regalo dai contadini a’ quali facea spacciare i fiori e l’erbe, pigliò meco il broncio per quell’ordine.
      Una mattina suonarono i tocchi miei al campanello: scesi: eran due contadine che portavano grandi ceste di viole; la conversa le aveva fatte entrare, e pesata la roba voleva che ne avessi pagato l’importo. Io dissi con tuono fermo:
      «Non ho bisogno di viole per quest’anno».
      Colei, ponendosi i pugni sui fianchi, rispose con petulanza:
      «Voi non siete la farmacista, ma soltanto l’aiutante della mia padrona.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337