«Ora te ne puoi star contento, eh?»
«Perché?»
«Perché hai avuta una sagrestana giovine e svelta».
Un’altra volta gli dicevano: «Che fortuna!»
«Perché?»
«Si dice che la sagrestana trovi molti requisiti nella tua persona».
«Che idea strana! Da che lo desumono?»
«Dalla premura con che ti chiama in preferenza degli altri chierici; dalla fiducia che ti mostrò consegnando ogni cosa a te».
Come altrove ho detto, soffriva io molto di nervi: le convulsioni mi si erano rese periodiche. Ad ogni mia indisposizione, lo chiamarono al portello, e con impudenza di cortigiane gli recarono saluti a nome mio. Né qui l’impudenza si fermò: perocché, immaginato e steso sulla carta un vigliettino con sotto il mio nome di battesimo, glielo fecero, non so per qual mezzo, venire in mano. In pari tempo m’involarono un tenue oggetto di biancheria, e in nome mio glielo presentarono.
La testa del povero giovane cominciò a vacillare. Se ne avvidero quelle, allorché, annunziatogli ch’io mi stava gravemente inferma,
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ei si cavò di tasca la pezzuola per asciugarsi gli occhi, né poté altrimenti nascondere il suo travaglio.
«E cotto di lei!» dissero allora fra loro, stropicciandosi le mani, e gongolando di gioia.
Ma della comica passione del chierico ben anch’io mi avvidi, non appena convalescente e rientrata nell’ufficio. Saputo l’imbroglio del viglietto e del donativo, alle intriganti monache scagliai le più energiche rimostranze: a lui feci tosto conoscere che lo scritto era falso, e che l’oggetto, a nome mio presentatogli, mi era stato poc’anzi preso dal fagotto della lavandaia.
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