Ascolta il mio consiglio: cercati la sussistenza in altra chiesa, e portami al più presto la tua rinunzia».
Il tuono secco e reciso di questi miei detti contrastava coll’interno senso di compassione che mi destava un avvenimento diretto a togliere il pane a quel povero tribolato.
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Quest’abboccamento, che durò appena 10 minuti, e finì pel chierico in uno scoppio di pianto, venne interrotto dall’arrivo dei sagrestano.
Convinta però che le monache covavano un reo progetto, e dolente per altra parte di rovinare quel giovine il quale altra colpa non aveva che quella d’essere un po’ stolto, deliberai di troncarla con un mezzo più consentaneo alla pietà. Recatami dalla badessa, la pregai a nominare in vece mia un’altra sagrestana, dopo l’infermità non sentendomi io in forze da sostenere i pesi di quell’uffizio. Costei rispose non giudicar la mia salute tanto rovinata, quanto piaceva a me di rappresentarla; non esservi, d’altronde, esempio che una monaca si fosse dimessa dalla carica senza finire l’anno d’uso.
Il mio confessore, al quale l’affare dispiaceva, unì le sue alle mie preghiere per indurla a cedere; ma, inflessibile alle reiterate domande, ella perseverò sul rifiuto.
Stizzita però dalle mie moleste insistenze, mi disse un giorno:
«Ma, insomma, perché vuoi lasciare il posto? Perché qualche pazzarella ti accusa di amoroso commercio col chierico? Quanto sei minchiona! Forse lei stessa, forse le altre ancora non hanno fatto, non fanno e non faranno sempre lo stesso? A tali cianciafruscole, se hai granello di buon senso, non devi badare!
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