».
Il chirurgo della comunità, signor Giampietro, aveva assistita la madre di Chiarina, quando si era sgravata di lei. Costui, che per tale ragione amava paternamente la ragazza, non cessava di raccomandarla alle mie cure, ripetendomi le mille volte di non imporle fatica, e di evitarle qualunque molestia. Ma, perché tali raccomandazioni non gradivano troppo alla conversa, ebbe Chiarina l’avverti-
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mento di schivare la presenza del chirurgo. Io era già da qualche tempo rientrata nelle funzioni d’infermiera. Un giorno, mentre Giampietro trattenevasi nella porteria, io e Chiarina vi giungemmo per caso. La prese egli per la mano e fattasela sedere sulle ginocchia, tese l’orecchio alla mia relazione sulla salute dell’educanda, i cui palpiti crescevano d’intermittenza, e più forte manifestavasi il battito violento del cuore. La fece alzare in piedi, e nel posarle una mano al dorso, l’altra al petto, per esaminare il ritmo de’ battiti che questo dava, le sue dita toccarono le stecche di ferro.
«Che cosa è questo che porti nel busto?» le domandò.
E la ragazza, facendosi rossa, rispose: «Niente».
Io feci segno con gli occhi al chirurgo di procedere all’indagine, perloché, spezzando egli la stringa del corsaletto di lana nera, mise il busto alla luce.
«Misericordia!» gridò con furia. «Chi è stata quell’infame che ha messo a questa disgraziata una corazza di ferro?»
«E stata la mia conversa» rispose Chiarina.
«Chiamatemi subito quella scellerata» riprese il chirurgo.
La fanciulla, divenuta pallida e tremante, mi pregò di calmarlo; ed egli, vedutala così costernata, si fermò un poco, poi, voltosi alla portinaia e alle altre monache presenti:
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Giampietro Chiarina Chiarina Giampietro Chiarina Chiarina
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