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      Chi diceva: «Come è bello! Che nobile portamento! che sguardo fascinatore! che mano fatta al tornio!». Chi diceva: «Quanto è dotto ed istruito! da quella bocca scorre il miele!». Io diceva tra me: «Egli non ha imparato che a star ben ritto su due piedi!». Insomma per più giorni e più notti altro in convento non facevasi, che pascersi dell’olezzo delle sue parole; quelle poi alle quali gli odorosi mazzetti erano stati diretti, rosse, palpitanti e distratte divenivano per la gran commozione.
      Io non m’era fatta giammai vedere né gli avea parlato. Provava per la sua persona una di quelle ripugnanze insuperabili che si sentono a prima vista e non si sanno giustificare. Non so perché, ma
     
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      sin dal primo incontro egli mi sembrò un dandino, travestito da principe ecclesiastico.
      Volendo una volta far mostra di galanteria, mandò in dono alla comunità un gran canestro di fravole: le monache diedero una piastra al cameriere, e non rifinirono di magnificare la garbatezza del così detto nuovo superiore. Credo che questo fattarello trapelasse fuori del chiostro, e pervenisse a notizia di qualche bello spirito propenso alle burle, e che avrà dovuto esclamare: in qual parte del mondo non s’infiltra la commedia?
      Di lì a pochi giorni ci arrivò un secondo regalo. Un facchino, condotto da un cameriere, recò un pesce di enorme grossezza, tutto coperto di foglie d’arancio. Nel presentare quella mole, che nominò storione, sciorinò costui a nome di Sua Eminenza un’interminabile litania di complimenti, mentre il pesce faceva grondar sudore dalla fronte del portatore.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Sua Eminenza