«Eminenza sì» risposi, tremante non meno di timore che di speranza.
«E per qual motivo?»
«Per cagione di salute».
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Si atteggiò ad ironico sorriso, tornò a fissarmi ben bene, poi soggiunse.
«Ma voi non mi avete l’aria di ammalata».
«Eppure se sono ammalata Dio lo sa!»
«Di che soffrite?»
«Di mal di nervi».
«E chi non soffre di questo male!»
«Di convulsioni» ripigliai.
«Eh, tutte le donne ne patiscono. Isterismi, isterismi, e nient’altro! Voi altre monache vi andate più soggette ancora delle femmine secolari».
Dopo una breve pausa gli dissi essere stata la mia domanda accompagnata dal certificato del medico curante.
«Ho poca fede nei medici: chi più, chi meno, sono tutti impostori».
«Ma il mio era giurato».
«Tutti miscredenti, tutti spergiuri, capissi j’à! ».
Mi tacqui allora, e dopo un’altra pausa ripigliò:
«Voi sapete che tutte le petizioni mandate a Roma dalla mia diocesi sono dalla Santa Sede rimandate a me. La vostra domanda dunque trovasi nelle mie mani, acciocché io ne verifichi l’esposto e dia conseguentemente il mio voto. Ora, per non permettere che vi pasciate di vane speranze, debbo dichiararvi che il mio voto è contrario; lasciate ogni speranza di uscire!»
Credetti d’essere percossa dal fulmine. Onde maravigliato egli dal mio sommo turbamento, m’invitò a sedere, poi, raddolcendo la voce, inasprita nelle ultime frasi:
«Ho parlato testé colla superiora» disse, «ed ella mi assicura motivo della vostra petizione non essere veramente la salute, ma sibbene l’affare del chierico».
Io conosceva appieno la parte che il cardinale aveva presa in quell’argomento.
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Dio Roma Santa Sede
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